Chi ha paura di uscire? (Su una poesia di Caproni)

La poesia, scritta nel 1961, è raccolta nel libro Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, pubblicato nel 1965. Come in altri testi del libro, anche in questo componimento la voce che parla è quella di un personaggio che incarna uno degli aspetti della complessa personalità del poeta, il quale vorrebbe essere come il guardacaccia e non aver paura della morte, ma invece si sente come i suoi amici, spaventato dal fischio che proviene dall’esterno.
Il testo è preceduto da un’epigrafe in greco antico tratta dalla tragedia Prometeo incatenato di Eschilo, che in italiano significa: «Una paura penetrante tormenta le nostre anime». 

Non credo che questo sia
il fischio del bracconiere.
C’è troppa nebbia. Comunque
(qui son le carte) finite
voi la partita. Io
(potete continuare a bere
anche per me) conosco,
né posso esimermi, quello
ch’è il mio preciso dovere.

Qualsiasi richiamo nel bosco
oda insolito, uccello
o altro agente che sia,
devo andare a vedere.
Porgetemi per cortesia,
è lì a quel chiodo, il fucile
ed il mio cartucciere.
Intanto (scusate: ci vuole,
col freddo che m’aspetta)
lasciate ch’io mi versi ancora
– ultimo – quest’altro bicchiere.

Il personaggio narratore, il guardacaccia, recita il suo discorso di fronte a un pubblico di amici e compagni con i quali sta giocando a carte. Deve interrompere il gioco, perché da fuori si sente un fischio ed è suo dovere andare a controllare. Per tranquillizzare i suoi amici, che sembrano preoccupati, parla del suo rapporto con la solitudine e con la paura di morire, traendone alcune conclusioni generali.

Caproni, in uno scritto inedito, preparato probabilmente per una conferenza, ha definito questa poesia «raccontino allegorico», facendo riferimento al fatto che il testo ha due significati: uno, letterale, che si può riassumere in una breve narrazione, e l’altro, allusivo, che esprime qualcosa di diverso, che, in questo caso, riguarda il rapporto che l’uomo intrattiene con la morte e con la paura della fine. Queste sono le parole usate da Caproni per descrivere la poesia (da Sulla poesia, Roma, Italo Svevo Edizioni, 2016):

Un guardiacaccia, una sera di maltempo, sta bevendo e giocando a carte coi suoi compagni. Un fischio dal bosco, che non può essere quello del solito bracconiere, perché c’è troppa nebbia in giro, mette in allarme la compagnia. Il guardiacaccia, ligio ai suoi doveri, si alza per andare a sincerarsi. Ma sul volto dei compagni legge chiaramente ch’essi temono per lui un più grave pericolo. Allora fa il discorsetto […], il cui succo è pressappoco questo: se il nostro peggior nemico è la morte, è vana la prudenza e il restarsene in casa; tanto essa è già qui, in casa nostra; è dentro di noi. Evidentemente, nei trepidi compagni del guardiacaccia ho visto la mia persona esitante e timorosa, mentre nel guardiacaccia stesso, e nel suo recitativo appena ironico, quell’alter ego che vorrei essere e che, purtroppo, non sono.

Distante dalla neoavanguardia, all’inizio degli anni Sessanta cerca di dare una risposta, con la poesia, alla crisi della lirica tradizionale, quella in cui il poeta esprime direttamente, per lo più in testi brevi, la propria individualità, i propri pensieri e le proprie passioni. Questa lunga poesia narrativa (98 versi), come le altre di Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, sperimenta una forma nuova, anomala per la tradizione italiana, in cui la voce è affidata a un io che non coincide con quello del poeta e che è espressione di uno degli aspetti della sua personalità. Caproni stesso infatti ha detto – come abbiamo visto – che il personaggio protagonista, il guardacaccia, è un suo alter ego, che rappresenta colui che vorrebbe essere e purtroppo non è. Il suo punto di vista, invece, quello in cui il poeta si riconosce, è affidato agli interlocutori del guardacaccia, gli amici spaventati dal pericolo che sembra venire dall’esterno, i quali ascoltano con attenzione ma non sembrano in grado di agire o di proporre una loro riflessione. E il guardacaccia, come gli altri personaggi del libro, sembra non crede a nulla se non alla morte, la sola certezza esistenziale, e tuttavia mantiene una sua dignità, basata sul dovere di vivere e sulla fedeltà al ruolo che gli è stato assegnato dalla società.

Il guardacaccia, caccia
ed è cacciato. Questa
è una norma sicura.
Al diavolo perciò la paura,
giacché non serve. Tanto,
in tutti noi non resta
– sola – che la certezza
già da tempo in me sorta:
chi fabbrica una fortezza
intorno a sé, s’illude
quanto, ogni notte, chi chiude
a doppia mandata la porta.

Lasciatemi perciò uscire.
Questo, io vi volevo dire.
Per quanto siano bui
gli alberi, non corre un rischio
più grande di chi resta, colui
che va a rispondere a un fischio. 

E ora, se avete modo di procuravi il testo – possibilmente da L’opera in versi, edizione critica a cura di Luca Zuliani, Mondadori 1998, ma può andar bene qualsiasi altra edizione – provo a suggerire, in ordine sparso, alcuni spunti didattici per approfondirne la conoscenza e metterne a frutto le potenzialità in un’aula scolastica.

  • Immagina di dover rappresentare questo testo su un palcoscenico, a teatro. Scrivi un progetto organizzato in tre parti: gli attori: descrizione degli attori e dei loro ruoli; l’ambiente, descrizione della scena (oggetti che servono, scenografie); l’azione, sintesi delle azioni fondamentali compiute dagli attori.
  • Nella poesia di Caproni sono presenti due personaggi fondamentali: il guardacaccia, che è colui che parla e descrive l’ambiente dal suo punto di vista, e il suo pubblico, composto dagli amici con cui sta giocando a carte e a cui sta parlando. Il poeta dice di riconoscersi nelle idee e nei sentimenti degli amici del guardacaccia, i quali non parlano mai direttamente. I loro pensieri sono infatti espressi attraverso la mediazione del guardacaccia, il quale osserva i suoi interlocutori e li legge e interpreta a partire dalle loro espressioni, dai loro silenzi, dai loro comportamenti. Descrivi, per ciascuno dei seguenti sentimenti o emozioni, dei comportamenti (posizioni del corpo, espressioni del viso, gesti, ecc.) che li rendano per così dire visibili: paura per una situazione di pericolo reale; gioia per una buona notizia; ansia per un pericolo immaginato.
  • La morte è un evento inevitabile, con cui ciascun essere vivente deve fare i conti personalmente. Tuttavia, il tema della morte è rimosso nella cultura occidentale e quando viene affrontato dai mass media è esaltato nei suoi aspetti più spaventosi. In molti Paesi si sta diffondendo la necessità di praticare una “educazione alla morte” (Death Education) fin dai primi anni di vita, poiché molti studi hanno dimostrato che quando gli adulti propongono in modo maturo questo argomento, i bambini sono più propensi a valorizzare la vita, la salute e il benessere, riducendo comportamenti rischiosi, l’incidenza della depressione e di atteggiamenti autolesionistici. Esprimi la tua opinione su questo argomento, sostenendo le tue idee con esempi.

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