Sono fascista, anzi no, fascisti siete voi che non mi fate esprimere

Sono residente, come molti di voi immagino, in una città amministrata da un consiglio, da una giunta e da un sindaco di destra. Si tratta di un’esperienza comune. Ci sono già passato anch’io, come molti di voi, che forse avete anche votato a destra. Ma forse l’ultima volta non c’era ancora Facebook, e poi il sindaco era un avvocato e aveva una sua precisa idea della cultura liberale e del conservatorismo. Stavolta invece siamo nell’epoca dei social network e il sindaco altro non sembra che un simulacro del suo ufficio stampa. I fatti spariscono dietro le parole e le immagini postate sui social. Il linguaggio della politica invade la vita quotidiana di tutti, inquinandola. Colpito da questo fenomeno, qualche tempo fa ho deciso di studiare il linguaggio di alcuni esponenti politici di questa particolare destra che non esita a definirsi fascista e che quotidianamente invade il web con le sue narrazioni tossiche di stampo omofobo e razzista. Inizio dal caso più penoso: un consigliere comunale che si dichiara fascista e scrive di “frogetti”.

“Il problema non sono i #FroGetTi KekKa, ma gli uomini che di nascosto li puntellano da dietro”. Questo è il messaggio che qualche giorno fa un consigliere comunale della mia città ha affidato al pubblico del web, cioè, potenzialmente, a tutti gli iscritti a Facebook, visto che il consigliere ha scelto, attraverso le impostazioni della privacy del social network, di consentire la lettura proprio a tutti, senza porre limiti di alcun tipo. Si tratta di un messaggio scritto sulla sua pagina personale, dunque, come afferma il diretto interessato con l’intento di rivendicare il suo diritto a dire quel che gli pare, ma sotto forma di messaggio pubblico, tutt’altro che riservato. Accusato per questo di omofobia, il consigliere ha risposto su un giornale locale «No, davvero: mi dispiace se qualcuno si è sentito offeso dal mio post, ma voleva essere una satira politica riferita a una o due persone in particolare. L’ho scritto sulla mia pagina personale: è l’altra parte che ha fatto uno screenshot e l’ha messo in un gruppo pubblico per strumentalizzare. Non era riferito alla comunità gay».
Prima di estendere l’analisi linguistica e stilistica ad altre frasi del consigliere, proviamo a capire meglio il suo modo di procedere, che è d’altronde quello tipico del partito politico a cui appartiene, Casapound. In prima battuta, egli formula una frase dal contenuto molto chiaro, inequivocabile, che potremmo tradurre così: “Il problema non sono i froci, ma gli uomini che di nascosto cercano di fotterli” (anche in traduzione è difficile evitare il turpiloquio). Meno chiaro è il contesto: a chi si rivolge la frase? E con quale intenzione comunicativa? Rimane il fatto che il messaggio è perfettamente decifrabile in ogni sua parte, nonostante l’uso di una grafia distorta. Da notare l’uso di “frogetti kekka”, a sottolineare una fondamentale differenza rispetto al più neutrale “omosessuale”. Intanto, “frogetti kekka” è evidentemente una formula dispregiativa, un vero e proprio insulto usato per offendere una categoria di persone a causa del loro orientamento sessuale. Inoltre, l’espressione sembra voler indicare in modo specifico l’omosessuale che ha un orientamento di genere femminile, che ha cioè comportamenti da donna, secondo uno stereotipo che sembra turbare particolarmente gli omofobi in generale e il consigliere in particolare. A titolo di esempio, cito un altro post presente sul suo profilo.
Si tratta di una foto che rappresenta un uomo in abiti femminili molto succinti e di colore rosa. In una mano tiene un cellulare e nell’altra una valigia. Sotto la foto si legge il commento “Sciogliete i cani”. Anche in questo caso l’autore non lascia spazio a equivoci: dopo aver invitato il pubblico a osservare quest’immagine, il consigliere formula un esplicito invito alla violenza, che fa sorridere quando è pronunciato dal signor Burns in un episodio dei Simpson, e suona inevitabilmente sinistro sulla bocca di un politico democraticamente eletto che si dichiara pubblicamente fascista. Un messaggio analogo, anche se meno violento, si può leggere sulla pagina Facebook dell’associazione Deceris di Grosseto (una sorta di cavallo di Troia di Casapound), in cui si prende di mira la foto di un matrimonio tra due uomini, di cui uno è vestito da sposa. Indipendentemente dal contenuto omofobo, va detto che si tratta di un metodo comunicativo pericoloso, tipico dei movimenti politici che cercano di creare un clima di odio irrazionale. È proprio così, infatti, che si costruiscono le cosiddette bufale sul web, a partire da foto prive o video privi di una fonte precisa, in molti casi falsi e comunque decontestualizzati e dotati di un nuovo significato attraverso dei titoli o dei commenti che tendono a generalizzare. Nel singolo caso – non importa se vero o falso – si rappresenta, stigmatizzandola, un’intera categoria di persone.
Ma andiamo oltre e rileggiamo le frasi pronunciate dal consigliere in sua difesa. A un certo punto dice: “è l’altra parte che ha fatto uno screenshot e l’ha messo in un gruppo pubblico per strumentalizzare. Non era riferito alla comunità gay”. Si tratta anche in questo caso di parole che manifestano un modo di categorizzare tipico non solo degli omofobi ma in generale dei razzisti e di coloro che si sentono parte di un gruppo di persone esclusivo. A rendere pubblico il post sarebbe stata per l’autore “l’altra parte” (abbiamo già visto che si tratta di un’affermazione falsa, perché il post è pubblico per volontà del suo autore), una supposta “comunità gay” che a quanto pare vorrebbe “strumentalizzare” le sue affermazioni. Si tratterebbe dunque di una sorta di attacco alla sua libertà di espressione da parte di un gruppo organizzato di persone che sta sbagliando a riconoscersi in quella sua frase.
Un passo avanti e due indietro. Questa è la semplicissima strategia comunicativa del consigliere e degli adepti del suo movimento politico, i quali si dichiarano fascisti e poi sostengono che il fascismo è un’altra cosa rispetto a quello del passato; sostengono di non essere omofobi e di rispettare i diritti di tutti, salvo poi formulare frasi esplicitamente omofobe; sostengono di non essere razzisti e intanto fanno propaganda contro l’immigrazione, definita una “invasione” e collegata impropriamente e strumentalmente al terrorismo. Il risultato è una proficua confusione, utile a rassicurare i nostalgici del fascismo e anche a coloro che del fascismo non sanno niente perché credono di vivere in un mondo fuori dalla storia.
In un post del 19 novembre 2015 il consigliere – ancora non eletto – scrive un commento rivolto ad Arci, Comune, Caritas e associazioni islamiche, colpevoli di aver organizzato un incontro pubblico contro il terrorismo e favore dell’accoglienza e della legalità. “Vi ci sono voluti altri 130 morti (questa volta europei) per parlare di terrorismo a Grosseto… Ma arrivate in ritardo… nonostante avete provato a boicottare senza riuscirsi il nostro evento sabato 7 novembre che parlava proprio sulle responsabilità di chi alimenta questo fenomeno…!! La finalità invece del vostro evento sotto riportato centra poco con il terrorismo… Lo scopo è solo quello di farci invadere… Finanziando così di fatto la tratta degli esseri umani che non scappano dall’Isis ma che di fatto ne gonfiano solo le tasche! Voi non siete contro l’ISIS… VOI NE SIETE COMPLICI”. È davvero impressionante il disprezzo per la grammatica italiana, presente in questo come in altri testi dell’autore. Il fenomeno, per quanto sia tipico dei social network e parzialmente giustificato dalle caratteristiche del mezzo di comunicazione, che lo avvicinano all’oralità, in questo caso è rivelatore sia del livello di istruzione dello scrivente, che stride con l’ambizione di tenere una lezione di storia contemporanea, sia del rapporto che egli ha con i suoi lettori, i quali evidentemente non si aspettano niente di diverso e non sono quindi intenzionati a valutare la qualità linguistica del ragionamento dell’autore. Credo sia utile mettere in evidenza, infine, la carenza argomentativa del discorso, che è composto da frasi scollegate dal punto di vista logico. Sembra di capire che l’iniziativa convegnistica abbia lo scopo di “farci invadere” (ritorna l’uso del noi in senso identitario, come se ci fossero sempre due parti tra loro in conflitto e come se lui fosse sempre dalla parte giusta…), ma non si capisce bene come. Ma forse non importa. È sufficiente individuare un “noi” contrapposto a un “voi”, e poi attribuire al “voi” un’intenzione negativa, malevola, addirittura crudele. Stessa cosa in un post del primo novembre, stavolta dedicato alla questione libica. Il “ragionamento” si conclude così: “E questo governo italiano zitto… Abbassa le orecchie come i somari e si mette a pecora…!!! L’ITALIA È DIVENTATA LA PUTTANA DEL MONDO”. Proprio così, maiuscole comprese, e chissà che non sia implicito un riferimento alla dantesca “serva Italia”. Il turpiloquio dilaga insieme alla semplificazione. Il gusto per il motto, per la frase a effetto, sono quelli tipici dell’oratoria mussoliniana. Ed è anche la retorica di Casapound e dei suoi video infarciti di immagini che alludono costantemente all’estetica fascista.
“SONO FASCISTA ED ORGOGLIOSO DI ESSERLO” ha scritto il consigliere – sempre in pubblico, non in privato – in un messaggio rivolto al sottoscritto. Poi mi ha deriso perché io non saprei riconoscere un fascista da un “fascista del terzo millennio”, che evidentemente, secondo lui, è radicalmente diverso da quello del secondo. E poi, in un altro messaggio pubblico, mi ha accusato di “scarsissima mascolinità”, mi ha dato del “poveraccio”, poi del “cretino”, dimostrando di avere davvero qualche problema con l’identità sessuale propria e altrui e, soprattutto, di non essere in grado di gestire la comunicazione sui social network in modo adeguato al suo ruolo di consigliere comunale. A partire dalle impostazioni della privacy, per arrivare fino alla banale ortografia.

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